Correva l’anno 2007, forse qualcosa prima. Nel mio girovagare, tra un rullino di diapositive e l’altro, mi interessavo (come ora, d’altronde) di ragni; chi li conosce, sa che normalmente i maschi adulti di ragno si rinvengono solo per un limitato periodo dell’anno (diverso a seconda delle specie) perché si accoppiano e poi muoiono, mentre le femmine adulte possono essere rinvenute, nelle specie longeve, tutto l’anno.
I ragni botola sono famosi per le loro strategie predatorie: scavano un cunicolo sotterraneo il cui ingresso è chiuso da un opercolo mimetico di terra e tela e da questo, durante la notte, catturano fulmineamente le prede di passaggio. Nella specie comunemente nota per la Sardegna, Cteniza sauvagesi, i maschi adulti abbandonano le tane e vagano alla ricerca di una partner nei mesi autunnali e invernali (fine ottobre-dicembre), ma io ne trovavo anche in agosto. Una cosa strana, il fatto che ci fossero due ondate di maschi… e difatti, osservandoli bene, si capiva che erano di due tipi diversi, l’uno più grande, lucido e snello, l’altro più piccolo, tozzo e pubescente.
Cominciai quindi, ispirato dal “Sentiero dei nidi di ragno” di Calvino, una mia lettura di anni prima, a sbirciare le tane delle femmine, e mi accorsi che effettivamente alcune botole erano spesse e tronco-coniche, altre sottili e morbide, e al loro interno alloggiavano femmine di ragno diverse.
Da allora, le osservazioni sul campo insieme all’amico fotografo Bruno Manunza ed i continui scambi di ipotesi con Arthur Decae dell’università di Rotterdam sono durati anni; sette anni per la precisione, di comparazione con materiale raccolto nei musei, per capire che si trattava di una specie nuova, individuata per la prima volta nel Parco Regionale di Porto Conte (Alghero) ma comune in tutta la Sardegna e, allo stato attuale delle conoscenze, probabilmente endemica dell’isola.
L’abbiamo chiamato Amblyocarenum nuragicum, in onore della civiltà dei nuraghe.
Comune, vi dicevo: comune e pure grandicello, 25 mm solo corpo… come ha fatto a passare inosservato ad occhi “esperti” (ché gli abitanti del luogo già l’avranno vista molte volte) per così tanto tempo? La risposta è variegata e dubbia, la certezza è una: anche in Italia abbiamo ancora molto da scoprire, e la biodiversità è un patrimonio da proteggere.
Marco Colombo
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